La storia della squadra di calcio Inter
Il Football Club Internazionale nacque la sera del 9 marzo 1908 al ristorante «Orologio» di Milano per iniziativa di un gruppo di soci dissidenti del Milan Football and Cricket Club, contrari al divieto imposto dal club rossonero di arruolare calciatori di nazionalità straniera. Giorgio Muggiani, uno dei 44 fondatori del nuovo club, scelse i colori che ne avrebbero caratterizzato il logo societario: il nero e l’azzurro, a rappresentare anche simbolicamente la rottura rispetto al passato. Giovanni Paramithiotti, un altro dei soci fondatori, fu scelto come presidente, lo svizzero Hernst Marktl passò invece alla storia come il primo capitano dei nerazzurri. Già due anni dopo la fondazione, nella stagione 1909-10, arrivò il primo titolo nazionale, conquistato sotto la guida di Virgilio Fossati — nella doppia veste di giocatore e allenatore — e la presidenza di Carlo De Medici. A questo successo seguirono risultati deludenti, fino allo scoppio della prima guerra mondiale che costrinse il campionato italiano a fermarsi.
Alla ripresa del torneo dopo la fine del conflitto bellico, nella stagione 1919-20, la squadra allenata da Francesco Mauro e Nino Resegotti centrò il suo secondo titolo nazionale. Nel 1928, per venire incontro alle direttive del regime fascista, la società nerazzurra fu costretta a fondersi con l’Unione Sportiva Milanese e cambiare denominazione in Società Sportiva Ambrosiana per ragioni politiche. Due anni dopo, nella stagione 1929-30, l’Ambrosiana vinse il primo campionato italiano disputato a girone unico, conquistato sotto la guida dell’ungherese Árpád Weisz, che a 34 anni divenne il tecnico più giovane a laurearsi campione. Intanto nel 1931, su iniziativa del presidente Ferdinando Pozzani, il club cambiò nuovamente denominazione e divenne noto come Ambrosiana-Inter. Il quarto tricolore venne conquistato nella stagione 1937-38 con Armando Castellazzi in panchina, mentre la successiva gestione dell’austriaco Tony Cargnelli portò in bacheca la prima Coppa Italia della storia interista, nell’annata 1938-39, e il quinto scudetto in quella 1939-40. Nel 1942, mentre la seconda guerra mondiale era ancora in corso, fu nominato presidente Carlo Masseroni, il quale nel 1945 annunciò il ritorno all’antica denominazione di Internazionale.
La squadra dovette attendere fino alla prima metà degli anni 1950 per tornare a primeggiare in Italia: guidata in panchina da Alfredo Foni, l’Inter vinse lo scudetto sia nella stagione 1952-1953 che in quella 1953-1954, centrando un’inedita doppietta tricolore. Nel 1955 la società fu acquistata dal petroliere Angelo Moratti che, dopo i primi risultati non all’altezza delle aspettative, nella stagione 1960-61 scelse di affidare la panchina all’argentino Helenio Herrera: fu l’inizio dell’epopea della Grande Inter, una formazione leggendaria che nel giro di quattro anni vinse tre scudetti — compreso quello della stella nel 1965-66 — due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali. La prima Coppa dei Campioni fu conquistata nel 1963-64, superando nella finale di Vienna il Real Madrid, la seconda arrivò invece l’anno dopo sconfiggendo a San Siro il Benfica. I due successi continentali furono seguiti in entrambi i casi dall’affermazione mondiale, con l’Inter capace di vincere la Coppa Intercontinentale sia nel 1964 — diventando la prima squadra italiana a riuscirci — che nel 1965, sempre contro l’Independiente.
Il 1968 segnò la fine di un ciclo, con Moratti che decise di passare la mano ad Ivanoe Fraizzoli. Sotto la sua presidenza, l’Inter tornò a vincere lo scudetto nella stagione 1970-71, guidata in panchina da Giovanni Invernizzi che divenne il primo tecnico nerazzurro a conquistare il titolo nazionale da subentrante. Nel 1977 fu ingaggiato Eugenio Bersellini, che rimase sulla panchina interista per cinque stagioni vincendo due Coppe Italia nel 1977-78 e nel 1981-82 e uno scudetto nel 1979-80.
Nel 1984 la società fu acquistata da Ernesto Pellegrini, che resterà in carica per poco più di un decennio. La squadra dovette però attendere ben nove anni prima di vincere nuovamente il campionato, nella stagione 1988-89, sotto la guida di Giovanni Trapattoni. Durante la gestione di Trapattoni, arrivarono pure una Supercoppa italiana nel 1989 e una Coppa UEFA nel 1990-91, quest’ultima vinta contro la Roma. Negli anni successivi seguirono campionati deludenti, a cui fece da contraltare solo un altro successo in Coppa UEFA nel 1993-94, questa volta sugli austriaci del Salisburgo.
Nel 1995 si verificò una svolta epocale per la storia dell’Inter, quando Massimo Moratti decise di rilevare il club da Pellegrini, riportando — a distanza di 27 anni dal padre Angelo — un membro della famiglia Moratti al timone della società. Tuttavia, nonostante gli ingenti investimenti, i primi anni di presidenza Moratti regalarono poche soddisfazioni, se si eccettua il terzo successo in Coppa UEFA nella stagione 1997-98 contro la Lazio. Il club dovette attendere fino al 2004 per tornare a primeggiare in Italia, con l’arrivo in panchina di Roberto Mancini che aprì un nuovo ciclo di vittorie: risalgono infatti alla sua gestione la conquista di due Coppe Italia, nel 2004-05 e nel 2005-06, due Supercoppe italiane, nel 2005 e nel 2006, e tre scudetti — di cui il primo a tavolino per le vicende di Calciopoli — dal 2005-06 al 2007-08.
Chiusa l’esperienza di Mancini, Moratti ingaggiò il portoghese José Mourinho, che condusse la squadra alla vittoria in Supercoppa italiana nel 2008 e in campionato nel 2008-09, consentendo ai nerazzurri di raggiungere il Milan al secondo posto nell’albo d’oro della competizione. La stagione 2009-10 fu una tra le più gloriose nella storia del club: vincendo scudetto, Coppa Italia e Champions League, quest’ultima nella finale di Madrid contro il Bayern Monaco, i nerazzurri divennero la prima squadra italiana e tuttora unica a realizzare il treble. Nella stagione 2010-11, nella quale sedettero in panchina prima Rafael Benítez e poi Leonardo, il club vinse la Supercoppa italiana, la Coppa del mondo per club FIFA — centrando un inedito quintuple per il calcio italiano nel corso del 2010 — e la Coppa Italia.
Nel 2013, dopo diciotto anni di gestione Moratti, la società fu acquistata dall’imprenditore indonesiano Erick Thohir, che divenne così il primo presidente straniero della storia nerazzurra. Tuttavia la nuova proprietà non fu in grado di risollevare la società da una crisi di risultati nata al tramonto della precedente gestione e sostanzialmente proseguita nelle stagioni successive. Nel 2016 lo stesso Thohir cedette il controllo del club al Suning Holdings Group, di proprietà dell’imprenditore cinese Zhang Jindong.
La storia della squadra di calcio Milan
Il Milan Football & Cricket Club nacque grazie all’iniziativa di un gruppo di inglesi e italiani, riuniti all’hotel Du Nord e des Anglais, tra i quali Alfred Edwards, il primo presidente, Edward Nathan Berra, il vicepresidente e capitano della squadra di cricket, il segretario Samuel Richard Davies, e fra i soci fondatori David Allison (capitano della squadra), Daniele Angeloni, Giannino Camperio, Antonio Dubini, Guido Valerio e Herbert Kilpin. Della riunione diede notizia La Gazzetta dello Sport in un trafiletto del 15 o del 18 dicembre, ma non essendo rimasta una documentazione certa sull’atto costitutivo della società, la data di fondazione, che il club stesso fissa tradizionalmente al 16 dicembre 1899, resta incerta.
Il 15 gennaio 1900 il club fu affiliato alla FIF, Federazione Italiana del Football e il 15 aprile, nelle semifinali del campionato 1900, la squadra esordì con una sconfitta per 3-0 contro l’FC Torinese. Il 27 maggio dello stesso anno vinse la medaglia del Re grazie al 2-0 ottenuto contro la Juventus.
L’anno seguente il Milan si laureò campione d’Italia, interrompendo la serie di vittorie consecutive del Genoa, sconfitto in finale per 3-0. Per il bis occorse aspettare il 1906, quando ad essere battuta fu la Juventus che rifiutò di disputare la ripetizione della gara di spareggio sul campo dell’US Milanese, non condividendo la decisione della FIF sulla scelta della sede della partita. Nel 1907 arrivò il terzo successo, grazie al primo posto nel girone finale a cui parteciparono Torino e Andrea Doria.
La Fiaschetteria Toscana, prima sede del Milan, che ha ospitato le assemblee societarie dal 1899 al 1909.
Nonostante i successi, nel 1908 un gruppo di soci, in disaccordo sul tesseramento dei giocatori stranieri, lasciò i rossoneri per fondare un nuovo sodalizio, il Football Club Internazionale Milano. Dopo la separazione il Milan sfiorò due scudetti, nel 1910-1911 e nel 1911-1912, entrambi vinti dalla Pro Vercelli, mentre nel 1916 i rossoneri misero in bacheca la Coppa Federale. Nelle stagioni seguenti la squadra vinse due volte i campionati regionali, ma non riuscì a ottenere successi nelle fasi nazionali.
Nel marzo 1919 la denominazione fu mutata in Milan Football Club e nel 1926 venne inaugurato lo stadio San Siro, fatto costruire dal presidente Piero Pirelli e che, fino al 1947, ospitò solo il Milan, dato che l’Inter avrebbe giocato all’Arena Civica.Nel periodo interbellico i diavoli ottennero solo piazzamenti di metà classifica non andando mai oltre il terzo posto, ottenuto nelle stagioni 1937-1938 e 1940-1941. Le stelle dell’epoca furono Aldo Boffi e Giuseppe Meazza.
Nel 1936 la società assunse la denominazione Milan Associazione Sportiva, mutata nel febbraio 1939, quando le autorità fasciste imposero l’italianizzazione del nome in Associazione Calcio Milano. Nell’immediato dopoguerra, mutata ancora la denominazione in Associazione Calcio Milan, la squadra rossonera ripartì col quarto posto del 1946-1947 e col simbolico titolo di campione d’inverno la stagione successiva.
Il quarto scudetto arrivò nel 1950-1951, dopo 44 anni di attesa, insieme alla prestigiosa Coppa Latina 1951, grazie ai gol del celebre trio svedese Gre-No-Li e alle parate di Lorenzo Buffon, sotto la guida tecnica dell’ungherese Lajos Czeizler. Negli anni seguenti si unirono alla squadra altri campioni come Schiaffino, Bagnoli, Radice e Cesare Maldini che, capitanati da Nils Liedholm, furono fra i protagonisti delle vittorie nella Coppa Latina 1956 e di altri 3 campionati (1954-1955, 1956-1957 e 1958-1959). Nel 1958 il Milan raggiunse la sua prima finale di Coppa dei Campioni, perdendo però per 3-2 ai supplementari contro il grande Real Madrid, vincitore delle prime cinque edizioni del trofeo.
Nel 1961-62 il Milan vinse il suo ottavo titolo con Nereo Rocco in panchina, il capocannoniere José Altafini in attacco e un giovane Gianni Rivera in campo. Cambiata, all’inizio della stagione seguente, la denominazione in Milan Associazione Calcio, il club ottenne il primo successo continentale trionfando per 2-1, grazie a una doppietta di Altafini, nella finale di Wembley contro il Benfica e Cesare Maldini fu il primo capitano di una squadra italiana a sollevare la Coppa dei Campioni. Il 16 novembre 1963 i rossoneri, con Viani in panchina dopo il passaggio di Rocco al Torino, persero però per 1-0 lo spareggio della Coppa Intercontinentale giocato allo Stadio Maracanã contro il Santos di Pelé. Questa fu l’ultima stagione sotto la presidenza di Andrea Rizzoli, che si dimise dopo nove anni in cui vinse 4 scudetti, una Coppa Latina, una Coppa dei Campioni ed edificò il centro sportivo di Milanello.
Dopo alcune stagioni opache, che videro come unico successo la Coppa Italia 1966-1967, il ritorno in panchina di Rocco portò, nel 1967-1968, a conquistare il nono scudetto e la Coppa delle Coppe 1967-1968, messa in bacheca battendo al De Kuip di Rotterdam l’Amburgo grazie ad una doppietta di Kurt Hamrin. Nel campionato successivo il Milan giunse secondo alle spalle della Fiorentina, ma vinse la sua seconda Coppa dei Campioni battendo per 4-1 nella finale di Madrid l’Ajax di Rinus Michels. In quell’anno il Milan si aggiudicò la Coppa Intercontinentale, in virtù del successo nella doppia finale contro gli argentini dell’Estudiantes (3-0; 1-2). A questi allori di squadra si aggiunse anche la vittoria di Rivera nel Pallone d’oro 1969, primo italiano a riuscirvi.
Gli anni settanta si aprirono con tre secondi posti consecutivi in campionato, due dei quali ottenuti dopo aver subito brucianti rimonte da parte di Inter (1970-1971) e Juventus (1972-1973). In particolare nel 1972-1973 i rossoneri persero un campionato che sembrava già vinto a causa di un’amara sconfitta nella «Fatal Verona». I secondi posti in campionato furono però compensati dalla vittoria di due Coppe Italia (1971-1972 e 1972-1973) e dalla seconda Coppa delle Coppe.
Dopo alcune stagioni non esaltanti, l’arrivo di Nils Liedholm in panchina e il 4º posto nel torneo 1977-1978, stagione di debutto di Franco Baresi, prelusero alla conquista del decimo titolo nel 1978-1979. La squadra, guidata in campo da Gianni Rivera, alla sua ultima stagione da calciatore, vinse la concorrenza dell’ostico Perugia di Ilario Castagner che concluse il campionato imbattuto (prima squadra a riuscirvi nella Serie A a girone unico) e mise finalmente in bacheca l’agognato «scudetto della stella».
Gli anni ottanta si aprirono con la prima retrocessione in Serie B e la radiazione del presidente rossonero Felice Colombo a seguito dello scandalo del Totonero. Il pronto ritorno nella massima serie vincendo il campionato di Serie B 1980-1981 fu seguito da una stagione fallimentare che vide i rossoneri retrocedere nuovamente, questa volta sul campo, chiudendo il torneo al terz’ultimo posto della classifica con 24 punti in 30 giornate. Il ritorno in A fu ancora una volta immediato ma il Milan, dopo alcune stagioni di transizione, che il 20 gennaio 1985 videro l’esordio a Udine del sedicenne Paolo Maldini, dovette affrontare una grave crisi societaria. La società, fortemente indebitata e a rischio fallimento, fu rilevata il 20 febbraio 1986 dall’imprenditore milanese Silvio Berlusconi, che ne ripianò il deficit economico.
La successiva campagna acquisti fu all’altezza del blasone rossonero: arrivarono Roberto Donadoni, Dario Bonetti, Giuseppe Galderisi, Daniele Massaro e Giovanni Galli e dopo una stagione di assestamento, che vide l’esonero di Liedholm e il quinto posto finale, l’anno successivo il Milan scelse di puntare sul giovane tecnico Arrigo Sacchi e ingaggiò i due fuoriclasse olandesi Marco van Basten e Ruud Gullit, pallone d’oro 1987. Sacchi, dopo un inizio difficile, guidò la squadra alla rimonta sul Napoli sino alla vittoria finale. Tale successo fu il preludio a un triennio d’oro in cui i rossoneri si aggiudicarono due Coppe dei Campioni (1989, 1990), due Supercoppe europee (1989, 1990), due Coppe Intercontinentali (1989, 1990) e la Supercoppa italiana 1989. Il Milan di Sacchi, ispirato al calcio totale, aveva rivoluzionato la pratica e la mentalità calcistica.
La serie di successi internazionali del Milan di Sacchi si interruppe il 20 marzo 1991 nella «notte di Marsiglia», quando Adriano Galliani, durante il ritorno del quarto di finale di Coppa dei Campioni giocato contro l’Olympique Marsiglia, fece ritirare la squadra, in svantaggio per 1-0, per lo spegnimento di uno dei riflettori dello stadio. La scelta di non tornare in campo anche dopo il ripristino dell’illuminazione portò alla sconfitta a tavolino per 3-0 e alla squalifica per un anno dalle coppe europee. Si chiuse così il ciclo di Sacchi che a fine stagione lasciò la panchina a Fabio Capello per diventare commissario tecnico della Nazionale di calcio dell’Italia.
Escluso dalle competizioni europee, il Milan si concentrò sul campionato 1991-1992, vinto senza subire sconfitte, impresa eguagliata dalla Juventus nell’annata 2011-2012. L’anno seguente il Milan si aggiudicò il secondo scudetto di fila e la Supercoppa italiana 1993 e tornò da protagonista nel palcoscenico europeo, arrivando a disputare la finale di Champions League, dove fu nuovamente sconfitto di misura dall’Olympique Marsiglia.
Subentrati al Marsiglia, squalificato a seguito del caso Valenciennes-Olympique Marsiglia, i rossoneri persero ambedue le gare che assegnavano la Supercoppa europea 1993 (per 2-1 complessivo contro il Parma) e la Coppa Intercontinentale 1993 (per 3-2 contro il San Paolo). L’annata 1993-94 fu invece memorabile, impreziosita dal double scudetto-Champions League, coppa vinta in finale per 4-0 contro il Barcellona allenato da Johan Cruijff malgrado le assenze dei difensori Franco Baresi e Alessandro Costacurta per squalifica. Il Milan conquistò poi la Supercoppa italiana 1994 e la Supercoppa UEFA 1994, ma fu sconfitto per 2-0 nella Coppa Intercontinentale 1994 dagli argentini del Vélez Sarsfield e per 1-0 nella finale di Champions del 1994-1995, raggiunta per il terzo anno consecutivo, dal giovane Ajax del tecnico Louis van Gaal. Al termine della stagione 1995-96, conclusa con la conquista del quarto scudetto in cinque anni, Capello lasciò la panchina all’uruguaiano Óscar Tabárez.
Nei due anni seguenti il Milan, che passò nel dicembre 1996 da Tabárez al rientrante Sacchi e, nell’estate 1997, da questi al rientrante Capello, visse la fine di un ciclo, segnata da una crisi di risultati e piazzamenti molto deludenti in campionato. Nel 1998 riuscì a raggiungere dopo otto anni la finale di Coppa Italia, dove fu sconfitto dalla Lazio. L’ingaggio del tecnico Alberto Zaccheroni, che guidò i rossoneri alla vittoria del sedicesimo scudetto nel 1998-1999, parve preludere ad un nuovo ciclo di successi, ma la squadra non ottenne risultati di rilievo e passò nel 2001 nelle mani di Cesare Maldini, prima dell’arrivo in panchina dell’ex calciatore rossonero Carlo Ancelotti, che, approdato in rossonero nella stagione 2001-2002, inaugurò un nuovo ciclo vincente. Sotto la sua guida, dopo la semifinale di Coppa UEFA 2001-2002, nel 2003 tornò in bacheca la Champions League, che mancava da nove anni e fu vinta battendo ai rigori, nella finale dell’Old Trafford di Manchester, i rivali della Juventus. Tre giorni dopo, contro la Roma, la squadra si aggiudicò l’unica Coppa Italia dell’era Berlusconi, la quinta della storia rossonera. Nella stagione 2003-2004, in cui la società mutò la denominazione in Associazione Calcio Milan, la bacheca si arricchì con il diciassettesimo scudetto e la quarta Supercoppa europea, vinta allo Stadio Louis II di Monte Carlo battendo per 1-0 il Porto di José Mourinho, mentre i rossoneri persero, sempre ai rigori, sia la Supercoppa italiana 2003 contro la Juventus che la Coppa Intercontinentale 2003 contro gli argentini del Boca Juniors.
Sono del 2004-2005 la vittoria della Supercoppa italiana 2004, il secondo posto in campionato e la sconfitta-beffa nella finale di Champions League contro il Liverpool, che nel secondo tempo rimontò dallo 0-3 e vinse ai rigori. Al termine del campionato 2005-2006, concluso al secondo posto, il Milan fu coinvolto nello «scandalo Calciopoli», subì una penalizzazione di 30 punti che lo relegò al terzo posto e un’ulteriore penalizzazione di 8 punti da scontare nel campionato successivo.
Nel 2006-2007 il Milan giunse nuovamente in finale di Champions League (l’undicesima della propria storia), vinta per la settima volta con la doppietta di Inzaghi ancora contro gli inglesi del Liverpool. Kaká, che vinse poi il Pallone d’oro 2007, fu il capocannoniere della manifestazione con 10 gol. Nel 2007-2008 il Milan si aggiudicò anche la sua quinta Supercoppa europea e la sua prima Coppa del mondo per club, ultimi successi del ciclo Ancelotti, che al termine della stagione 2008-2009, segnata anche dal ritiro di Paolo Maldini, lasciò il testimone all’ex calciatore e dirigente Leonardo, alla sua prima esperienza da allenatore, ma rimasto in carica per una sola stagione.
Nell’estate del 2010 arrivò sulla panchina rossonera Massimiliano Allegri, che guidò il Milan alla vittoria del campionato italiano nella stagione 2010-2011, quando il Milan, trascinato dai gol del neoacquisto Zlatan Ibrahimović, vinse il diciottesimo scudetto. Nel 2011 il Milan mise in bacheca anche la sua sesta Supercoppa italiana, battendo a Pechino l’Inter per 2-1. Durante la gestione di Allegri giunsero un secondo posto in Serie A nel 2012 e un terzo posto nel 2013. Nel gennaio 2014 Allegri fu sollevato dall’incarico e sostituito con Clarence Seedorf. Nel triennio successivo alla guida dei rossoneri si avvicendarono l’olandese, Filippo Inzaghi, Siniša Mihajlović e Cristian Brocchi, ma la squadra visse un periodo di declino. Nel dicembre 2016, sotto la guida di Vincenzo Montella, i rossoneri si aggiudicarono la loro settima Supercoppa italiana, conquistando l’ultimo trofeo ufficiale della presidenza Berlusconi. Il 13 aprile 2017 fu infatti ufficializzata la cessione della società all’imprenditore cinese Li Yonghong, nuovo presidente del club. Tuttavia, dopo poco più di un anno, il club assistette ad un nuovo ribaltone societario: il 21 luglio 2018 il fondo d’investimento americano Elliott subentrò all’inadempiente Li Yonghong, nominando Paolo Scaroni nuovo presidente del club rossonero.
La storia della squadra di calcio “Juventus”
Nell’autunno del 1897 vide la luce a Torino lo Sport-Club Juventus per iniziativa di un gruppo di studenti del liceo classico Massimo d’Azeglio; tra essi i fratelli Eugenio ed Enrico Canfari. Tre anni più tardi, con il nome di Foot-Ball Club Juventus, la società si iscrisse al suo primo campionato nazionale. Il primo titolo nazionale arrivò nel 1905. L’anno dopo il presidente della società, lo svizzero Alfred Dick, a seguito di accese discussioni di spogliatoio lasciò la Juventus e assieme a un gruppo di soci dissidenti si unì alla FC Torinese dando vita al Torino, segnando così l’origine del derby della Mole e l’inizio di una serie di problemi finanziari e sportivi che condussero la squadra bianconera nel 1913 alle soglie della retrocessione in Promozione.
Dopo la prima guerra mondiale la Juventus, risollevatasi con la presidenza di Giuseppe Hess e Corrado Corradini, migliorò il suo piazzamento in campionato e fornì i primi giocatori alla nazionale italiana. Edoardo Agnelli assunse la presidenza della società il 24 luglio 1923. Con l’ulteriore arrivo del primo allenatore professionista, l’ungherese Jenő Károly, giunse la vittoria del secondo tricolore nella stagione 1925-26.
Il primo ciclo vincente della società, grazie all’apporto di elementi come Giovanni Ferrari, Raimundo Orsi, Luis Monti e il trio difesivo Combi-Rosetta-Caligaris, giunse tra il 1930-31 e il 1934-35, quando arrivarono cinque scudetti consecutivi, uniti al raggiungimento delle semifinali di Coppa dell’Europa Centrale per quattro anni di fila; allenatore della squadra in quattro delle cinque vittoriose stagioni fu Carlo Carcano, uno dei precursori del «metodo». Molti giocatori di quella Juventus formarono il nucleo della nazionale italiana vittoriosa nella Coppa Internazionale e nel campionato del mondo 1934. La prematura morte di Edoardo Agnelli, avvenuta nel 1935, coincise con la fine del cosiddetto «Quinquennio d’oro». Sul finire del periodo interbellico arrivò comunque la prima Coppa Italia dei bianconeri (1938).
Nel secondo dopoguerra sotto la presidenza di Gianni Agnelli e in seguito di suo fratello Umberto la Juventus tornò alla ribalta dopo tre lustri conoscendo un secondo ciclo di vittorie, grazie anche all’arrivo di Omar Sívori e John Charles, che insieme a Giampiero Boniperti formarono il «Trio Magico»: tre scudetti tra il 1958 e il 1961, il primo dei quali fu il decimo e le valse il diritto a poter esporre sulle maglie la stella. Sívori divenne inoltre nel 1961 il primo calciatore proveniente dalla Serie A a vincere il Pallone d’oro.
Nel 1971 Boniperti diventò presidente del club e il suo primo scudetto in tale nuova veste giunse subito alla sua prima stagione, nel 1971-72, bissato da quello successivo del 1972-73: furono i primi di un terzo vittorioso ciclo che nei successivi quindici anni, sotto la guida tecnica dapprima di Čestmír Vycpálek, poi di Carlo Parola e infine di Giovanni Trapattoni, portarono a Torino nove scudetti, due Coppe Italia e vittorie internazionali che fecero della Juventus la prima a vincere tutte le competizioni dell’UEFA e, a seguire, la prima al mondo a conquistare tutte le competizioni ufficiali per club.
In particolare nel 1977 arrivò la prima vittoria internazionale in Coppa UEFA, al termine di un’accesa finale contro gli spagnoli dell’Athletic Bilbao. Il titolo nella Coppa dei Campioni 1984-85, conseguito a Bruxelles il 29 maggio 1985 sul Liverpool circa un anno dopo la vittoria da imbattuta in Coppa delle Coppe, fu invece oscurato da gravi incidenti pre-gara generati dagli hooligan britannici che portarono alla morte di 39 spettatori. Lo scudetto vinto nel 1986 chiuse il decennio di Trapattoni: durante la sua gestione complessivamente 9 elementi della Juventus giocarono nella nazionale italiana al campionato del mondo di Argentina 1978 e 6 in quella che si laureò campione nella successiva edizione di Spagna 1982.
Tramontata la generazione di calciatori che avevano costituito l’asse portante della squadra, la Juventus affrontò un periodo di nove anni privo di risultati in campo nazionale, anche se giunsero a Torino una Coppa Italia (1990) e due Coppe UEFA (1990 e 1993). Nel 1994 l’arrivo in panchina di Marcello Lippi fu il preludio al quarto ciclo vincente dei bianconeri: in dieci stagioni — con l’intervallo di un biennio d’interregno di Carlo Ancelotti, il quale vinse la Coppa Intertoto — la squadra fece suoi cinque scudetti e una Coppa Italia, raggiunse quattro finali di Champions League vincendo quella del 1996 a Roma e conquistò una Coppa Intercontinentale, una Supercoppa UEFA e quattro Supercoppe di Lega.
I successi ottenuti in campionato sotto la gestione tecnica di Fabio Capello a metà degli anni 2000 vennero annullati dall’esito del caso Calciopoli: nell’estate 2006 la giustizia sportiva revocò ai bianconeri il titolo conseguito nel 2005 e li declassò dal primo all’ultimo posto in classifica nel 2006, relegandoli d’ufficio per la prima volta nella loro storia in Serie B. La Juventus fu promossa in massima categoria un anno più tardi vincendo il campionato cadetto. Nel 2010 Andrea Agnelli, quarto esponente della dinastia torinese, assume la presidenza del club. Sotto il suo mandato, con la guida tecnica dapprima di Antonio Conte e poi di Massimiliano Allegri, i bianconeri danno vita a un quinto ciclo di successi superando la squadra del Quinquennio d’oro e inanellando sette scudetti consecutivi dal 2012 al 2018, un unicum nel calcio italiano; negli stessi anni arrivano inoltre a Torino quattro double consecutivi grazie alle vittorie in Coppa Italia, altro primato nazionale, e tre Supercoppe di Lega.
La storia del calcio italiano
Gli italiani fin dall’antichità innata spirito di eccitazione e rivalità. Lascia che organizzino uno spettacolo indimenticabile. Le grida del Colosseo alle battaglie dei gladiatori nell’antica Roma gridavano alla battaglia, decidendo alla fine il destino del perdente. Questa immagine è molto simile agli stadi di oggi durante una partita di calcio! E gli stadi stessi nella loro struttura assomigliano al Colosseo.
Il calcio in Italia non è solo un gioco. Il calcio è una tradizione, una parte della vita, un simbolo del paese. L’Italia da quasi un secolo ha vinto un numero infinito di trofei ai campionati. Il gioco porta felicità a giocatori e fan e spesso si rivela essere al centro di scandali e persino tragici eventi.
La storia del calcio italiano risale al 1898, quando gli italiani iniziarono un gioco non professionale tra regioni. Nessun campionato: solo una battaglia, solo un gioco. E solo nel 1929 le migliori squadre delle regioni si riunirono per il gioco. Fu quindi il campionato più grande, che cadde sotto gli auspici della Federazione italiana di calcio e fu chiamato «Serie A».
Per il calcio italiano può essere trattato in modo diverso, ma non essere indifferente ad esso. La squadra nazionale italiana si chiama «Squadra azzurra». Il gioco delle squadre italiane è una combinazione di eccitazione, intrighi, trucchi proibiti ed emozioni sbalorditive. Naturalmente, il gioco è giocato per il bene della vittoria, ma il processo stesso offre un piacere speciale sia ai giocatori che ai fan. Il comportamento dei giocatori durante la partita rivela l’intero temperamento degli italiani: gridano, gesticolano zelante, usano metodi inammissibili durante il gioco. Se il campo inizia un combattimento o una schermaglia verbale, ad esempio un tedesco o un inglese, sembra piuttosto acuto e talvolta inquietante. Il giocatore di Squadra per lo stesso comportamento troverà immediatamente fama mondiale.
Darò un esempio: il famoso «Totti sputo». Francesco Totti — il capitano del club «Roma», un giocatore della nazionale — durante la partita con la nazionale della Danimarca ha sputato al centrocampista. Un inglese al posto di un italiano userebbe la forza contro un avversario. Ma questo è un gioco italiano, e quindi Totti ha espresso il suo disgusto per l’atto del danese nello sputare.
Tifosi italiani
Durante le partite, è interessante guardare non solo i giocatori delle squadre italiane, ma anche i fan. Ad esempio, darò l’opposizione dei famosi club di Milano — «Inter» e «Milan». Sono anche chiamati angeli e demoni. Lo stadio di casa di queste squadre è San Siro.
Il colore di «Milano» è rosso-nero, il simbolo è un diavolo che indossa una divisa da club. L’Inter è nera e blu, i giocatori si rivolgono al paradiso per chiedere aiuto durante una partita e le croci sono raffigurate sulle bandiere del club. Durante il gioco, queste due squadre sugli spalti scatenano tiffozi, ci sono canti in cui i fan cercano di prendere in giro i rivali. C’è la sensazione che il gioco sia uno scontro di forze oscure e leggere non per la vita, ma per la morte.
Ho avuto la fortuna di visitare la partita, che si è tenuta a San Siro. Già all’ingresso dello stadio, copre un’ondata di emozioni inesprimibili. I tifosi iniziano il loro gioco già prima dell’inizio della partita. I loro canti sono entrambi risibili, spaventosi e dimostrano amore per il gioco stesso. Durante la partita arriva la consapevolezza che il gioco prende gradualmente il suo posto nella tua vita, e alla fine sei sicuro che ne sei un fan.
Perché abbiamo bisogno di barzellette?
Con l’aiuto delle barzellette puoi elevare significativamente il tuo umore e creare la giusta atmosfera. Abbiamo bisogno di battute prima di tutto per divertirci. Barzellette e provocazioni verbali aiutano una persona a realizzarsi e a creare interesse. Un individuo che lotta contro ostacoli interni ed esterni, tramite le battute puòsganciarsi da problemi urgenti. Gli scherzi aiutano una persona a percepire la realtà. Se non fosse possibile prendere in giro questa o quella situazione, sarebbero difficile ammortizzare le situazioni di stress.
La satira può anche servire ad alleggerire un messaggio importante. Con l’aiuto dell’umorismo, una persona può “colpire” l’interlocutore in maniera diretta, ma senza offenderlo. “L’avversario può specchiarsi nei protagonisti dell’aneddoto, cogliendo subito cosa ha in comune con loro. Le battute possono servire anche a disinnescareuna situazione, per riunire e liberare. Aiutano a stabilire legami e comunicazioni, e a trovare argomenti comuni per la conversazione.
Uno scherzo buono può alleviare la tensione e farti ridere di cuore. Inutile dire che le risate sincere sono molto utili. In alcuni aneddoti c’è il cosiddetto umorismo «nero», che è equiparabile al cinismo. In questo caso, le battute hanno il ruolo di strumenti originali per combattere l’aggressività inespressa, infatti iutano una persona a liberarsi del negativo accumulato.
Molto spesso le battute riflettono l’attuale situazione economica e politica. Le persone a volte hanno semplicemente paura di esprimere la propria posizione direttamente. Usare una buona battuta è molto più facile. Gli aneddoti attuali possono fungere infatti da identificatore dell’ordine sociale. Una cosa è certa: senza battute e trucchi vari, la vita sarebbe più difficile e noiosa. L’umorismo gioca un ruolo chiave e rende le persone più felici e soddisfatte.
San Silvestro
La notte di San Silvestro è universalmente conosciuta come Vigilia di Capodanno e cade il 31 dicembre, ovvero il giorno antecedente al 1° gennaio. Questa ricorrenza non è un giorno festivo in Italia, in quanto il giorno festivo vero e proprio è il Capodanno, che cade il giorno successivo e dà inizio all’anno solare. Erroneamente, la notte di San Silvestro è spesso chiamata Capodanno, sebbene l’uso di questo termine sia sbagliato, in quanto il Capodanno vero e proprio cade il giorno successivo.
La vigilia di Capodanno prende il nome di notte di San Silvestro in onore del santo associato al 31 dicembre, ovvero Papa Silvestro, fatto santo, che morì proprio il 31 dicembre dell’anno 335 d.C., dopo essere stato pontefice di Roma per 21 anni.
Papa Silvestro fu pontefice di Roma in un periodo di svolta epocale, ovvero quell’arco di tempo in cui l’Impero Romano fu protagonista del passaggio dalla fede pagana a quella cristiana, ad opera dell’imperatore Costantino.
In realtà, il pontefice non fu una personalità di spicco a livello politico, anche a causa della forte personalità dell’Imperatore, il quale, a conti fatti, gestì le attività della Chiesa durante il periodo in cui Silvestro fu pontefice. Ad ogni modo, durante il suo pontificato, cadde il Concilio di Nicea, il primo concilio ecumenico della storia, in cui oltre 300 vescovi gettarono le basi per il cristianesimo, condannando il movimento eretico dell’arianesimo che si era diffuso ad Oriente.
Dieci anni dopo il concilio di Nicea, e più precisamente nel 335 d.C., papa Silvestro morì e fu sepolto nelle Catacombe di Priscilla.
Sebbene la vigilia di Capodanno sia anche conosciuta come notte di San Silvestro, è chiaro che l’importanza della notte a cavallo fra il 31 dicembre e il 1° di gennaio non è strettamente legata alla religione. In effetti, ciò che si festeggia non è la figura di San Silvestro, bensì la fine dell’anno solare, scandita dal famoso countdown che accompagna gli ultimi secondi dell’anno e proietta all’anno successivo che inizia a mezzanotte.
La vigilia di Capodanno, in Italia, è festeggiata in una maniera molto simile a quella della vigilia di Natale. È consuetudine riunirsi con amici e parenti per il «cenone di Capodanno», conosciuto anche come «veglione di Capodanno». Durante questa cena, si consumano piatti tipici quali lo zampone, il cotechino e le lenticchie.
Terminata la cena, i festeggiamenti possono continuare in casa o nelle piazze. La gente si riversa all’esterno, nelle vie, nei giardini e nelle piazze in attesa della mezzanotte che segna il momento di passaggio tra l’anno vecchio e quello nuovo.
I comuni spesso organizzano concerti in piazza con ospiti più o meno importanti. Si festeggia cantando e ballando in attesa del momento del countdown, che è scandito dai fuochi d’artificio, dall’apertura dello spumante o dello champagne, e dai cosiddetti «botti di Capodanno», ovvero lo scoppio di petardi e fuochi d’artificio di piccole dimensioni.
Anche le emittenti televisive accompagnano questo evento con trasmissioni dedicate. A tal proposito, va anche ricordato il tradizionale messaggio televisivo a reti unificate che il Presidente della Repubblica Italiana legge agli italiani prima della cena.
La vigilia di Capodanno non è festeggiata soltanto in Italia, ma anche in gran parte del mondo occidentale e anche in alcuni paesi orientali, a causa della globalità assunta da questa festa, oggi considerata la più importante al mondo.
I festeggiamenti sono perlopiù identici in tutti i paesi: concerti nelle piazze, countdown in attesa dell’anno nuovo e in qualche occasione scambio di auguri e di regali. Nei paesi orientali quali il Giappone, è usanza far visita ai templi scintoisti, durante la ricorrenza che prende il nome di Omisoka.
Altre ricorrenze caratteristiche le troviamo in Scozia, dove i vicini fanno visita gli uni agli altri e si scambiano gli auguri per l’imminente anno nuovo; e in Spagna, dove è consuetudine mangiare 12 chicchi d’uva, uno per ogni mese dell’anno, come buon auspicio per l’anno che verrà.
Santo Stefano
Santo Stefano è una festa liturgica che si celebra il 26 di dicembre, ovvero il giorno immediatamente successivo al Natale. La ragione di questa data sta nel fatto che Santo Stefano fu il primo martire della storia della cristianità e, per questo motivo, il suo nome è celebrato il 26 di dicembre, ovvero il primo giorno successivo alla nascita di Gesù.
In Italia, il 26 di dicembre è un giorno festivo: i lavoratori salariati hanno diritto a riposare, pur percependo regolarmente la loro retribuzione. La quale risulta maggiorata se, durante tale giorno festivo, il lavoratore è tenuto a prestare attività lavorativa. Nel calendario, Santo Stefano è segnato in rosso.
La festa di Santo Stefano rende omaggio al primo dei diaconi di Gerusalemme. Gli «Atti degli Apostoli» raccontano che, dopo la morte di Cristo, i dodici Apostoli erano completamente assorbiti dalla necessità di predicare la parola di Dio e, per questo motivo, non potevano dedicare tempo prezioso al «servizio delle mense». Per ovviare al vuoto che si veniva a creare, i dodici apostoli riunirono i loro discepoli e, fra questi, ne scelsero sette affinché si dedicassero al lavoro amministrativo e al popolo. Il primo fra questi sette fu proprio Stefano, uno dei primi ebrei ad essersi convertito al cristianesimo.
Gli Atti degli Apostoli ci raccontano ancora come Stefano fosse un uomo pio e ben voluto fra i cristiani, ma particolarmente temuto fra gli ebrei. Egli era, ai loro occhi, colpevole di numerose conversioni di fede che avvenivano soprattutto fra i giudei soggetti a diaspora.
Nell’anno 36, alcuni ebrei accusarono Stefano di blasfemia e lo trascinarono davanti al Sinedrio di Gerusalemme, affinché ne giudicasse gli atti. Ma durante il giudizio, Stefano in mistica adorazione acclamò il nome del Figlio di Dio, seduto alla testa del Padre, infervorando ancora di più il popolo. Gli Atti riportano ancora che gli ebrei presenti lo trascinarono via dal Sinedrio e lo lapidarono a morte con le pietre. Questo ci permette di datare il martirio come sicuramente avvenuto dopo la deposizione di Ponzio Pilato (36 d.C.), ovvero in quel periodo di vuoto amministrativo durante il quale Gerusalemme fu governata dal Sinedrio ebraico. Viceversa, se Stefano fosse stato ucciso prima, probabilmente sarebbe stato crocifisso come Cristo. La lapidazione, invece, essendo tipica del popolo ebreo del tempo, ci fornisce un’idea ben precisa riguardo il periodo della morte di Santo Stefano.
Secoli dopo la sua morte, e più precisamente nel 415 d.C., il dotto Gamaliele apparve in sogno ad un sacerdote di nome Luciano di Kefar-Gamba. Gamaliele non era solo, bensì accompagnato da suo figlio Abiba, dal martire Stefano e dal suo discepolo Nicodemo. Il saggio rivelò al prete Luciano che lui e i suoi fratelli stavano soffrendo molto perché sepolti senza onore, ed indicò a Luciano il punto esatto in cui trovare le loro reliquie, in quel di Gerusalemme.
Con l’accordo del vescovo della città, gli scavi presero il via e rivelarono davvero le reliquie dei santi, esattamente dove Gamaliele aveva rivelato si trovassero. Da allora, le reliquie furono spostate per tutto il mondo cristiano, generando stupore e scalpore e, cosa ben più importante, una grande quantità di miracoli, rendendo Stefano uno dei martiri più amati dell’intera cristianità.
Solo in Italia, ben 14 comuni portano il nome di Santo Stefano, protettore di tagliapietre e muratori, nonché uno dei santi più amati nel nostro paese.
In quanto primo martire della storia della cristianità, la festa di Santo Stefano viene celebrata il primo giorno dopo Natale, ovvero il 26 di dicembre.
In Italia, la festa di Santo Stefano è stata resa un festivo nel 1947, con lo scopo di prolungare le festività natalizie e rendere ancora più solenne il Santo Natale. Soltanto un’altra festa gode delle stesse peculiarità, ovvero la Santa Pasqua, i cui festeggiamenti sono prolungati di un giorno, grazie al Lunedì dell’Angelo anche noto come Pasquetta.
Per quel che riguarda i festeggiamenti, la festa di Santo Stefano viene trascorsa in famiglia e con gli affetti più cari, esattamente come il Natale. Le attività durante questo giorno di festa non sono di molto dissimili a quelle del giorno precedente, con l’immancabile tombolata e i dolci natalizi. In caso di bel tempo, molti italiani scelgono di trascorrere Santo Stefano visitando le città d’arte del nostro paese, come Firenze, Venezia e Roma. Altrimenti, un’altra attività tipica della festa di Santo Stefano è quella di passare il pomeriggio al cinema.
Natale
Il Santo Natale è una festa cristiana che celebra la nascità di Gesù Cristo, avvenuta il 25 dicembre (per le Chiese Occidentali e quelle Greco-Ortodosse), o il 6/7 gennaio per le Chiese Ortodosse che adottano il calendario giuliano, invece del calendario gregoriano.
In Italia, il 25 dicembre è un giorno festivo, ovvero un giorno di riposo retribuito, e per questo segnato in rosso nel calendario. I lavoratori hanno diritto a riposare, pur percependo la loro retribuzione. La quale è maggiorata nei casi in cui il lavoratore non riposi, ma presti attività lavorativa.
Come la maggiorparte delle festività della Chiesa Cattolica, anche il Natale non aveva una data ben precisa. Infatti, in nessuno dei Vangeli è indicata la data esatta della nascita di Gesù Cristo. Quando, nel IV secolo d.C., il cristianesimo divenne la religione ufficiale dell’Impero Romano, l’allora Papa Giulio I decise di utilizzare un periodo dell’anno gremito di feste pagane (il solstizio d’inverno per i Celti, i Saturnali per i Romani, le varie festività per celebrare i raccolti, nel Nord Europa…) per festeggiare la più solenne fra le feste Cristiane: i Natali di Cristo.
La scelta di questo periodo dell’anno fu, probabilmente, premeditata. Lo scopo era quello di riuscire a sradicare le festività pagane, grazie alla solennità della più importante festa Crisiana.
Va fatto notare che, sebbene da allora la data non sia cambiata, strascichi di tradizioni pagane sono ancora presenti durante i festeggiamenti del Natale: lo scambio di doni e lo stesso albero di natale sono tutti elementi che affondano le loro radici in un’epoca antecedente alla nascita di Gesù e del cristianesimo.
Sebbene il Natale rappresenti la festa più importante del cristianesimo, oggi questa festività ha acquisito degli elementi che la rendono più laica e commerciale di quanto non fosse in precedenza.
Innanzitutto, va fatto notare che il Natale cade in un periodo dell’anno tuttora pieno di ricorrenze e festività. Periodo dell’anno che annovera, fra le altre cose, il Capodanno, ovvero il passaggio dall’anno vecchio all’anno nuovo. E che viene chiuso dalla festa dell’Epifania, anch’essa storicamente legata alla nascita di Cristo e ritenuta la festività che celebra il battesimo di Gesù e l’arrivo dei Re Magi da Oriente.
Oggi, il Natale ha assunto aspetti sempre più commerciali. È l’occasione migliore per riunirsi con la famiglia, mangiare insieme e scambiarsi i regali, spesso portati in dono da Babbo Natale, figura legata alle tradizioni nordiche.
Durante tutto il periodo natalizio, le case e i giardini vengono addobbati con luci colorate e festoni. Lo stesso vale per le piazze, dove vengono predisposti presepi delle dimensioni più svariate e alberi di natale appositamente addobbati. L’addobbo dell’albero di Natale è una prassi ormai abbondantemente diffusa nel nostro paese: gli abeti, veri o finti, sono predisposti all’interno delle case e decorati con luci, palline e festoni colorati.
Una tradizione particolarmente sentita, e che affonda le sue radici nel Medioevo, è quella dei presepi viventi. Essi sono tipici di tutta la penisola, e soprattutto dei centri medievali, che ben si prestano alla predispozione di scene natalizie che rievocano la nascita di Gesù.
Nei paesi del Nord Europa (come la Danimarca, la Svezia, l’Olanda, la Finlandia etc.) la tradizione di Babbo Natale e dei suoi folletti è particolarmente sentita e fa da protagonista durante i festeggiamenti di Natale. I bambini scrivono delle letterine da inviare a Santa Claus il quale, poi, distribuisce i doni grazie all’aiuto delle sue renne, guidate dalla renna Rudolph.
Questa tradizione tipica del Nord Europa si è diffusa in maniera capillare in tutto il mondo, megli ultimi 70 anni, grazie soprattutto al cinema e alla televisione. Essa è oggi una delle tradizioni più conosciute e sentite, diffusa anche in paesi non cristiani, quali la Cina e il Giappone.
Tipico dei paesi del Nord, della Germania e della Gran Bretagna è anche il calendario dell’Avvento, che i bambini sfogliano giorno dopo giorno, man a mano che il 25 dicembre si avvicina. In Gran Bretagna, i bambini appendono delle calze vuote ai caminetti, che poi saranno riempite da dolci e regali.
In Spagna i festeggiamenti sono abbastanza fedeli a quelli italiani. La maggiore differenza sta nel fatto che lo scambio dei doni avviene in 6 gennaio, con l’arrivo dei Re Magi. La loro tradizione è particolarmente sentita nella penisola iberica, con tanto di sfilate a cavallo e manifestazioni in costume per ricordare il loro arrivo alla grotta di Betlemme.
Nei paesi dell’emisfero australe, l’estate va dal 21 dicembre al 21 di marzo. Per questo motivo, il Natale cade in piena estate in paesi come l’Argentina, il Brasile o l’Australia.
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Vigilia di Natale
La Vigilia di Natale è una ricorrenza molto sentita nel nostro Paese, in particolare nelle zone centro-meridionali d’Italia. Essa cade la notte del 24 di dicembre, ovvero il giorno antecedente alla nascita di Gesù Cristo. Pur non essendo un giorno festivo, è una ricorrenza molto sentita perché celebra il ricordo della nascita di Gesù nella grotta di Betlemme. Questa scena, particolarmente amata dai fedeli cristiani, è rappresentata nei presepi simbolici e nei presepi viventi di tutto il mondo.
Per i fedeli, il momento più importante della Vigilia di Natale è la Santa Messa di mezzanotte, alla quale ci si prepara tutta la sera, durante un’attesa che viene trascorsa insieme alle persone più importanti della propria vita, e quindi con la propria famiglia e gli amici più cari. È un momento di unione, durante il quale i fedeli si preparano al ripetersi del miracolo della nascita di Gesù. A livello liturgico, la Vigilia di Natale è l’ultimo giorno d’Avvento, nonché il primo giorno del Tempo di Natale, ovvero il primo giorno di quel periodo dell’anno che, secondo la Chiesa Cattolica, inizia con la Vigilia di Natale e finisce la prima domenica seguente all’Epifania.
Solo in tempi più recenti, la Vigilia di Natale ha assunto caratteristiche sempre più commerciali, trasformandosi in una festa moderna particolarmente sentita anche in paesi lontani e fra i non credenti. L’elemento che la caratterizza è la cosiddetta «cena della vigilia», ovvero un gran cenone che coinvolge le famiglie al termine del quale vi è lo scambio dei doni, anche in presenza di alcune figure non esattamente legate alla cristianità come Babbo Natale. Quest’ultimo, mutuato dai paesi del Nord Europa, secondo la tradizione arriva proprio durante la notte di Natale attraverso i comignoli o le finestre delle case, per dispensare doni ai bambini buoni.
In Italia, la Vigilia di Natale non è festeggiata allo stesso modo da Nord a Sud. In particolare, nei paesi del Nord Italia non c’è l’abitudine di riunirsi con i propri parenti per la famosa cena della vigilia. Durante il 24 dicembre, i fedeli attendono la Santa Messa di mezzanotte, dopo la quale è usanza scambiarsi gli auguri nei sagradi delle chiese o negli oratori, spesso scaldandosi con un bicchiere di «vin brulé», per poi trascorrere il resto della serata fino all’alba in compagnia di parenti o amici.
Nell’Italia centro-meridionale, la tradizione è leggermente diversa e i fedeli si riuniscono ancor prima della messa di mezzanotte, per trascorrere insieme la cena della Vigilia di Natale. Si tratta di una cena di magro, ovvero durante la quale non si consuma carne, bensì quasi solo ed esclusivamente pesce con contorno di verdure. Questa caratteristica deriva dall’interpretazione dei Vangeli e delle Sacre Scritture. In effetti, ad un’attenta lettura, si scoprirebbe che la vigilia di Natale dovrebbe essere un giorno di raccolta e di totale digiuno. Tuttavia, le interpretazioni più recenti vedono nel digiuno non un semplice astenersi dal consumo di cibo, bensì un consumo di cibo più austero e l’astinenza dalla carne. La ragione di ciò consiste nel fatto che, in passato, la carne era un bene di lusso e quindi rappresentava l’antitesi rispetto al periodo di preghiera e di raccolta rappresentato dal Natale.
Ovviamente, questa ricorrenza non è sentita soltanto in Italia, ma in tutti i luoghi di religione cristiana, in particolare di fede cattolica. Alcuni esempi caratteristici li troviamo:
- a Cuba, dove si trascorre la vigilia di Natale banchettando fino all’alba in compagnia di amici e parenti;
- in Messico, dove è tradizione rompere le pentolacce di cartapesta contenenti dolci e frutta candita;
- in Gran Bretagna, dove la vigilia di Natale è molto sentita e si festeggia con una cena sontuosa a base di tacchino farcito, prosciutto arrosto e dolci vari, nonché frutta secca. Sempre la sera della vigilia, i bambini appendono le calze ai caminetti in attesa dei doni di babbo Natale e, per ringraziarlo, lasciano in cambio un bicchiere di latte e un dolce nei pressi del caminetto o dell’albero di Natale. Dopo cena, è consuetudine recarsi presso le piste di pattinaggio sul ghiaccio all’aperto, dove sono organizzate speciali sessioni di pattinaggio con musica fino a notte fonda;
- in Ungheria, dove è consuetudine addobbare l’albero di Natale la notte della vigilia.