La storia della squadra di calcio «Juventus»

Nell’autunno del 1897 vide la luce a Torino lo Sport-Club Juventus per iniziativa di un gruppo di studenti del liceo classico Massimo d’Azeglio; tra essi i fratelli Eugenio ed Enrico Canfari. Tre anni più tardi, con il nome di Foot-Ball Club Juventus, la società si iscrisse al suo primo campionato nazionale. Il primo titolo nazionale arrivò nel 1905. L’anno dopo il presidente della società, lo svizzero Alfred Dick, a seguito di accese discussioni di spogliatoio lasciò la Juventus e assieme a un gruppo di soci dissidenti si unì alla FC Torinese dando vita al Torino, segnando così l’origine del derby della Mole e l’inizio di una serie di problemi finanziari e sportivi che condussero la squadra bianconera nel 1913 alle soglie della retrocessione in Promozione.
Dopo la prima guerra mondiale la Juventus, risollevatasi con la presidenza di Giuseppe Hess e Corrado Corradini, migliorò il suo piazzamento in campionato e fornì i primi giocatori alla nazionale italiana. Edoardo Agnelli assunse la presidenza della società il 24 luglio 1923. Con l’ulteriore arrivo del primo allenatore professionista, l’ungherese Jenő Károly, giunse la vittoria del secondo tricolore nella stagione 1925-26.
Il primo ciclo vincente della società, grazie all’apporto di elementi come Giovanni Ferrari, Raimundo Orsi, Luis Monti e il trio difesivo Combi-Rosetta-Caligaris, giunse tra il 1930-31 e il 1934-35, quando arrivarono cinque scudetti consecutivi, uniti al raggiungimento delle semifinali di Coppa dell’Europa Centrale per quattro anni di fila; allenatore della squadra in quattro delle cinque vittoriose stagioni fu Carlo Carcano, uno dei precursori del «metodo». Molti giocatori di quella Juventus formarono il nucleo della nazionale italiana vittoriosa nella Coppa Internazionale e nel campionato del mondo 1934. La prematura morte di Edoardo Agnelli, avvenuta nel 1935, coincise con la fine del cosiddetto «Quinquennio d’oro». Sul finire del periodo interbellico arrivò comunque la prima Coppa Italia dei bianconeri (1938).
Nel secondo dopoguerra sotto la presidenza di Gianni Agnelli e in seguito di suo fratello Umberto la Juventus tornò alla ribalta dopo tre lustri conoscendo un secondo ciclo di vittorie, grazie anche all’arrivo di Omar Sívori e John Charles, che insieme a Giampiero Boniperti formarono il «Trio Magico»: tre scudetti tra il 1958 e il 1961, il primo dei quali fu il decimo e le valse il diritto a poter esporre sulle maglie la stella. Sívori divenne inoltre nel 1961 il primo calciatore proveniente dalla Serie A a vincere il Pallone d’oro.
Nel 1971 Boniperti diventò presidente del club e il suo primo scudetto in tale nuova veste giunse subito alla sua prima stagione, nel 1971-72, bissato da quello successivo del 1972-73: furono i primi di un terzo vittorioso ciclo che nei successivi quindici anni, sotto la guida tecnica dapprima di Čestmír Vycpálek, poi di Carlo Parola e infine di Giovanni Trapattoni, portarono a Torino nove scudetti, due Coppe Italia e vittorie internazionali che fecero della Juventus la prima a vincere tutte le competizioni dell’UEFA e, a seguire, la prima al mondo a conquistare tutte le competizioni ufficiali per club.
In particolare nel 1977 arrivò la prima vittoria internazionale in Coppa UEFA, al termine di un’accesa finale contro gli spagnoli dell’Athletic Bilbao. Il titolo nella Coppa dei Campioni 1984-85, conseguito a Bruxelles il 29 maggio 1985 sul Liverpool circa un anno dopo la vittoria da imbattuta in Coppa delle Coppe, fu invece oscurato da gravi incidenti pre-gara generati dagli hooligan britannici che portarono alla morte di 39 spettatori. Lo scudetto vinto nel 1986 chiuse il decennio di Trapattoni: durante la sua gestione complessivamente 9 elementi della Juventus giocarono nella nazionale italiana al campionato del mondo di Argentina 1978 e 6 in quella che si laureò campione nella successiva edizione di Spagna 1982.
Tramontata la generazione di calciatori che avevano costituito l’asse portante della squadra, la Juventus affrontò un periodo di nove anni privo di risultati in campo nazionale, anche se giunsero a Torino una Coppa Italia (1990) e due Coppe UEFA (1990 e 1993). Nel 1994 l’arrivo in panchina di Marcello Lippi fu il preludio al quarto ciclo vincente dei bianconeri: in dieci stagioni — con l’intervallo di un biennio d’interregno di Carlo Ancelotti, il quale vinse la Coppa Intertoto — la squadra fece suoi cinque scudetti e una Coppa Italia, raggiunse quattro finali di Champions League vincendo quella del 1996 a Roma e conquistò una Coppa Intercontinentale, una Supercoppa UEFA e quattro Supercoppe di Lega.
I successi ottenuti in campionato sotto la gestione tecnica di Fabio Capello a metà degli anni 2000 vennero annullati dall’esito del caso Calciopoli: nell’estate 2006 la giustizia sportiva revocò ai bianconeri il titolo conseguito nel 2005 e li declassò dal primo all’ultimo posto in classifica nel 2006, relegandoli d’ufficio per la prima volta nella loro storia in Serie B. La Juventus fu promossa in massima categoria un anno più tardi vincendo il campionato cadetto. Nel 2010 Andrea Agnelli, quarto esponente della dinastia torinese, assume la presidenza del club. Sotto il suo mandato, con la guida tecnica dapprima di Antonio Conte e poi di Massimiliano Allegri, i bianconeri danno vita a un quinto ciclo di successi superando la squadra del Quinquennio d’oro e inanellando sette scudetti consecutivi dal 2012 al 2018, un unicum nel calcio italiano; negli stessi anni arrivano inoltre a Torino quattro double consecutivi grazie alle vittorie in Coppa Italia, altro primato nazionale, e tre Supercoppe di Lega.
La storia del calcio italiano

Gli italiani fin dall’antichità innata spirito di eccitazione e rivalità. Lascia che organizzino uno spettacolo indimenticabile. Le grida del Colosseo alle battaglie dei gladiatori nell’antica Roma gridavano alla battaglia, decidendo alla fine il destino del perdente. Questa immagine è molto simile agli stadi di oggi durante una partita di calcio! E gli stadi stessi nella loro struttura assomigliano al Colosseo.
Il calcio in Italia non è solo un gioco. Il calcio è una tradizione, una parte della vita, un simbolo del paese. L’Italia da quasi un secolo ha vinto un numero infinito di trofei ai campionati. Il gioco porta felicità a giocatori e fan e spesso si rivela essere al centro di scandali e persino tragici eventi.
La storia del calcio italiano risale al 1898, quando gli italiani iniziarono un gioco non professionale tra regioni. Nessun campionato: solo una battaglia, solo un gioco. E solo nel 1929 le migliori squadre delle regioni si riunirono per il gioco. Fu quindi il campionato più grande, che cadde sotto gli auspici della Federazione italiana di calcio e fu chiamato «Serie A».
Per il calcio italiano può essere trattato in modo diverso, ma non essere indifferente ad esso. La squadra nazionale italiana si chiama «Squadra azzurra». Il gioco delle squadre italiane è una combinazione di eccitazione, intrighi, trucchi proibiti ed emozioni sbalorditive. Naturalmente, il gioco è giocato per il bene della vittoria, ma il processo stesso offre un piacere speciale sia ai giocatori che ai fan. Il comportamento dei giocatori durante la partita rivela l’intero temperamento degli italiani: gridano, gesticolano zelante, usano metodi inammissibili durante il gioco. Se il campo inizia un combattimento o una schermaglia verbale, ad esempio un tedesco o un inglese, sembra piuttosto acuto e talvolta inquietante. Il giocatore di Squadra per lo stesso comportamento troverà immediatamente fama mondiale.
Darò un esempio: il famoso «Totti sputo». Francesco Totti — il capitano del club «Roma», un giocatore della nazionale — durante la partita con la nazionale della Danimarca ha sputato al centrocampista. Un inglese al posto di un italiano userebbe la forza contro un avversario. Ma questo è un gioco italiano, e quindi Totti ha espresso il suo disgusto per l’atto del danese nello sputare.
Tifosi italiani
Durante le partite, è interessante guardare non solo i giocatori delle squadre italiane, ma anche i fan. Ad esempio, darò l’opposizione dei famosi club di Milano — «Inter» e «Milan». Sono anche chiamati angeli e demoni. Lo stadio di casa di queste squadre è San Siro.
Il colore di «Milano» è rosso-nero, il simbolo è un diavolo che indossa una divisa da club. L’Inter è nera e blu, i giocatori si rivolgono al paradiso per chiedere aiuto durante una partita e le croci sono raffigurate sulle bandiere del club. Durante il gioco, queste due squadre sugli spalti scatenano tiffozi, ci sono canti in cui i fan cercano di prendere in giro i rivali. C’è la sensazione che il gioco sia uno scontro di forze oscure e leggere non per la vita, ma per la morte.
Ho avuto la fortuna di visitare la partita, che si è tenuta a San Siro. Già all’ingresso dello stadio, copre un’ondata di emozioni inesprimibili. I tifosi iniziano il loro gioco già prima dell’inizio della partita. I loro canti sono entrambi risibili, spaventosi e dimostrano amore per il gioco stesso. Durante la partita arriva la consapevolezza che il gioco prende gradualmente il suo posto nella tua vita, e alla fine sei sicuro che ne sei un fan.
Santo Stefano

Santo Stefano è una festa liturgica che si celebra il 26 di dicembre, ovvero il giorno immediatamente successivo al Natale. La ragione di questa data sta nel fatto che Santo Stefano fu il primo martire della storia della cristianità e, per questo motivo, il suo nome è celebrato il 26 di dicembre, ovvero il primo giorno successivo alla nascita di Gesù.
In Italia, il 26 di dicembre è un giorno festivo: i lavoratori salariati hanno diritto a riposare, pur percependo regolarmente la loro retribuzione. La quale risulta maggiorata se, durante tale giorno festivo, il lavoratore è tenuto a prestare attività lavorativa. Nel calendario, Santo Stefano è segnato in rosso.
La festa di Santo Stefano rende omaggio al primo dei diaconi di Gerusalemme. Gli «Atti degli Apostoli» raccontano che, dopo la morte di Cristo, i dodici Apostoli erano completamente assorbiti dalla necessità di predicare la parola di Dio e, per questo motivo, non potevano dedicare tempo prezioso al «servizio delle mense». Per ovviare al vuoto che si veniva a creare, i dodici apostoli riunirono i loro discepoli e, fra questi, ne scelsero sette affinché si dedicassero al lavoro amministrativo e al popolo. Il primo fra questi sette fu proprio Stefano, uno dei primi ebrei ad essersi convertito al cristianesimo.
Gli Atti degli Apostoli ci raccontano ancora come Stefano fosse un uomo pio e ben voluto fra i cristiani, ma particolarmente temuto fra gli ebrei. Egli era, ai loro occhi, colpevole di numerose conversioni di fede che avvenivano soprattutto fra i giudei soggetti a diaspora.
Nell’anno 36, alcuni ebrei accusarono Stefano di blasfemia e lo trascinarono davanti al Sinedrio di Gerusalemme, affinché ne giudicasse gli atti. Ma durante il giudizio, Stefano in mistica adorazione acclamò il nome del Figlio di Dio, seduto alla testa del Padre, infervorando ancora di più il popolo. Gli Atti riportano ancora che gli ebrei presenti lo trascinarono via dal Sinedrio e lo lapidarono a morte con le pietre. Questo ci permette di datare il martirio come sicuramente avvenuto dopo la deposizione di Ponzio Pilato (36 d.C.), ovvero in quel periodo di vuoto amministrativo durante il quale Gerusalemme fu governata dal Sinedrio ebraico. Viceversa, se Stefano fosse stato ucciso prima, probabilmente sarebbe stato crocifisso come Cristo. La lapidazione, invece, essendo tipica del popolo ebreo del tempo, ci fornisce un’idea ben precisa riguardo il periodo della morte di Santo Stefano.
Secoli dopo la sua morte, e più precisamente nel 415 d.C., il dotto Gamaliele apparve in sogno ad un sacerdote di nome Luciano di Kefar-Gamba. Gamaliele non era solo, bensì accompagnato da suo figlio Abiba, dal martire Stefano e dal suo discepolo Nicodemo. Il saggio rivelò al prete Luciano che lui e i suoi fratelli stavano soffrendo molto perché sepolti senza onore, ed indicò a Luciano il punto esatto in cui trovare le loro reliquie, in quel di Gerusalemme.
Con l’accordo del vescovo della città, gli scavi presero il via e rivelarono davvero le reliquie dei santi, esattamente dove Gamaliele aveva rivelato si trovassero. Da allora, le reliquie furono spostate per tutto il mondo cristiano, generando stupore e scalpore e, cosa ben più importante, una grande quantità di miracoli, rendendo Stefano uno dei martiri più amati dell’intera cristianità.
Solo in Italia, ben 14 comuni portano il nome di Santo Stefano, protettore di tagliapietre e muratori, nonché uno dei santi più amati nel nostro paese.
In quanto primo martire della storia della cristianità, la festa di Santo Stefano viene celebrata il primo giorno dopo Natale, ovvero il 26 di dicembre.
In Italia, la festa di Santo Stefano è stata resa un festivo nel 1947, con lo scopo di prolungare le festività natalizie e rendere ancora più solenne il Santo Natale. Soltanto un’altra festa gode delle stesse peculiarità, ovvero la Santa Pasqua, i cui festeggiamenti sono prolungati di un giorno, grazie al Lunedì dell’Angelo anche noto come Pasquetta.
Per quel che riguarda i festeggiamenti, la festa di Santo Stefano viene trascorsa in famiglia e con gli affetti più cari, esattamente come il Natale. Le attività durante questo giorno di festa non sono di molto dissimili a quelle del giorno precedente, con l’immancabile tombolata e i dolci natalizi. In caso di bel tempo, molti italiani scelgono di trascorrere Santo Stefano visitando le città d’arte del nostro paese, come Firenze, Venezia e Roma. Altrimenti, un’altra attività tipica della festa di Santo Stefano è quella di passare il pomeriggio al cinema.
Giorno dell’Unità Nazionale

Il Giorno dell’Unità nazionale conosciuto anche come Giornatà dell’Unità nazionale e delle Forze Armate è una festività laica italiana. Cade il 4 novembre di ogni anno e celebra il ricordo del 4 novembre 1919, ovvero la data della fine della Prima Guerra Mondiale, in Italia. Ovvero si celebra il ricordo dell’armistizio siglato a Villa Giusti (Padova) con l’Impero austro-ungarico, la cui conseguenza più immediata fu la riannessione di Trento e Trieste che, storicamente, pongono fine all’unificazione territoriale, politica e istituzionale dell’Italia, così come la conosciamo oggi.
La celebrazione dell’Unità nazionale come festa nazionale fu istituita nel 1919 e da allora tale data è sempre stata festeggiata, sebbene nel 1977 sia stata trasformata in una festività con data mobile, e cadesse sempre la prima domenica di novembre, all’interno di una manovra più ampia che aveva lo scopo di far aumentare i giorni lavorativi.
Durante gli anni ’80 e ’90, la sua importanza è andata notevolmente diminuendo, per poi tornare significativa sotto la presidenza di Carlo Azeglio Ciampi.
Oggi, la festa dell’Unità Nazionale è una delle più sentite nel nostro paese, con ampie celebrazioni di natura laica e civile. Esse coinvolgono in particolare le più alte cariche dello Stato che, nei giorni antecedenti alla festa vera e propria, rendono omaggio all’Altare della Patria e al Milite Ignoto, a Roma. Tra le tappe obbligate della festa del 4 novembre c’è anche la visita al Sacrario di Redipuglia, in provincia di Gorizia dove riposano oltre 100.000 caduti nella Prima Guerra Mondiale, e a Vittorio Veneto, luogo in cui si svolse l’ultima battaglia fra l’esercito italiano e quello austro-unicarico.
Durante i primi anni dell’età Repubblicana, era prassi abbastanza diffusa quella di aprire le caserme al pubblico, spesso organizzando esposizioni degli armamenti, mostre all’aperto, concerti che coinvolgevano le bande dell’esercito, e dimostrazioni pubbliche che potevano essere anche delle vere e proprie esercitazioni militari.
Queste usanze sono andate declinando con il trascorrere del tempo anche perché, durante gli anni ’70, la festa celebrativa dell’Unità Italiana fu oggetto di critica e contestazione da parte di diversi gruppi radicali, di estrema sinistra. In particolare, i manifestanti condannavano la violenza e la guerra, e per tale motivo trovavano fuori luogo la celebrazione dell’esercito, ritenendo invece il 4 novembre un giorno di lutto nazionale.
Oggi, la Giornata dell’Unità Nazionale rimane ampiamente celebrata e festeggiata, dimostrando di aver recuperato in parte lo spirito originario della festa stessa, ovvero la necessità di omaggiare il ricordo di coloro che hanno contribuito, con le loro vite, a rendere il nostro Paese un po’ più libero.
Festa del Lavoro

La festa del Lavoro, conosciuta anche come festa dei lavoratori, ma anche semplicemente come «1° maggio», è una festa celebrata in tutto il mondo Occidentale e in molti altri Paesi, per ricordare le battaglie degli operai per la conquista dell’orario di lavoro quotidiano, fissato in otto ore giornaliere.
In Italia, così come anche nel resto dell’Europa, è un giorno festivo retribuito, ovvero un giorno in cui le attività lavorative sono sospese, ma i lavoratori percepiscono ugualmente la loro retribuzione o paga.
Il 1° maggio ha origini americane e, più precisamente, questa festività nasce a Chicago nello stato dell’Illinois nel 1887. Le sue radici risalgono a una serie di manifestazioni, organizzate con cadenza annuale da un’associazione chiamata «Knights of Labor», ovvero i «Cavalieri del lavoro», a partire dal 1884. Tali lavoratori manifestavano per il riconoscimento di un tetto massimo di ore lavorative, fissato ad 8 ore giornaliere, e per il diritto al riposo fra un ciclo di lavoro e l’altro. Le loro richieste sfociarono nei sanguinosi incidenti del maggio 1886, durante la manifestazione passata alla storia con il nome di rivolta di Haymarket.
I lavoratori riuniti in piazza Haymarket il 4 maggio 1886 protestavano per i diritti sindacali, e in particolare per combattere le condizioni miserabili del lavoro in fabbrica, cui spesso erano costretti per 10 o anche 12 ore al giorno, in condizioni precarie e con paghe ridotte al minimo. Ad essi si unì un gruppo di anarchici che trasformò la manifestazione in tragedia quando, al lancio di una bomba sulla polizia, le forze dell’ordine aprirono il fuoco uccidendo diversi manifestanti.
In seguito a questi scontri, otto uomini vennero arrestati e condannati a morte per impiccagione, in quanto ritenuti anarchici e fomentatori. Solo in seguito, si scoprì che essi erano innocenti e le vere cause dietro gli incidenti di quel fatidico 1° di maggio rimangono tuttora avvolte nel mistero.
Quella data, tuttavia, rimase nell’immaginario collettivo come la più rappresentativa per ricordare l’impegno dei movimenti sindacali e dei lavoratori nel far riconoscere quei diritti lavorativi che ancora oggi sono ritenuti fondamentali in tutto il mondo civilizzato.
In Italia, quando nel 1888 i lavoratori livornesi appreso degli incidenti di Chicago, insorsero contro le navi statunitensi e contro la Questura dove si era nascosto il console americano. La reazione del governo Crispi fu aspra e furono adottate delle misure molto drastiche per impedire manifestazioin e cortei. Nonostante ciò, il 1° maggio del 1890 è una data storica, in Italia, in quanto i lavoratori riuscirono a coordinarsi e a dar vita ad una mobilitazione nazionale, con cortei e manifestazioni sparpagliati in tutto il territorio.
Durante i primi decenni del 1900, le manifestazioni del 1° maggio si susseguirono in quasi tutta Europa e la rivendicazione originale del tetto massimo di 8 ore lavorative giornaliere, traguardo ormai raggiunto, venne messa da parte a favore di altre richieste di natura politica e sociale.
Ma con l’avvento al potere di Benito Mussolini le cose cambiano e la festa dei lavoratori viene soppressa. O per meglio dire, essa venne spostata al 21 aprile e prese il nome di «Natale di Roma»: una festività fascista, imbrigliata dal regime, che non aveva più alcun significato per i lavoratori.
La situazione cambiò nuovamente con la liberazione del Paese dalla dominazione nazifascista, avvenuta il 25 aprile del 1945. Qualche giorno dopo, il 1° maggio del ’45, i lavoratori e i partigiani scesero in piazza a festeggiare non solo la ricorrenza del 1° maggio ma anche la libertà italiana dal regime tedesco.
Purtroppo, appena due anni dopo, un altro 1° maggio passò alla storia ed è tuttora tristemente ricordato in Italia. Si tratta del 1° maggio del 1947, quando gli uomini del bandito Giuliano aprirono il fuoco sulla folla di dimostranti.
Durante gli anni ’70, le pressioni sociali daranno nuova linfa ai movimenti dei lavoratori fino alle manifestazioni odierne così come le conosciamo.
In tempi recenti, il Primo Maggio continua ad essere una festa per commemorare i lavoratori e il diritto di ognuno al lavoro. Si festeggia con cortei e manifestazioni in tutto il Paese e con un grande concerto in Piazza San Giovanni a Roma, conosciuto anche come Concerto del Primo Maggio ed organizzato dalla CGIL, dalla CISL e dalla UIL.
Anniversario della Liberazione

L’anniversario della Liberazione, conosciuto anche come Festa della Liberazione, è un giorno festivo italiano nonché festa nazionale. Essa è conosciuta anche come anniversario della Resistenza, o semplicemente «25 aprile». In effetti, il 25 aprile è anche il giorno dell’anno in cui cade questa festività, proclamata ufficialmente tale a partire dall’anno 1946.
La festa della Liberazione ha una connotazione politica molto importante e commemora un giorno fondamentale della storia della Repubblica Italiana, in quanto ricorda la resistenza dei partigiani che, durante la Seconda Guerra Mondiale, si opposero al governo fascista di Mussolini e all’occupazione tedesca da parte dei nazisti di Hitler.
La festa della Liberazione ricorda il 25 aprile del 1945. Quel giorno, il Comitato di Liberazione Nazionale — che si era formato nel 1943 a Roma con lo scopo di contrastare il nazismo tedesco e la sua occupazione in Italia — proclamò via radio l’insurrezione partigiana contro i nazifasciti e i loro presidi. La rivolta fu tale che i soldati tedeschi e quelli della repubblica di Salò iniziarono a ritirarsi, soprattutto dalle grandi città del nord Italia, quali Milano e Torino, in cui la popolazione si era unita alla rivolta dei partigiani.
La sera del 25 aprile, i partigiani occuparono la sede del giornale «Il Corriere della Sera» e usarono la sua tipografia per stampare i primi comunicati in cui si festeggiava un’Italia libera dalla dominazione straniera. Quella stessa sera, Mussolini abbandonò Milano per fuggire a Como, dove venne ucciso tre giorni dopo.
Ovviamente, la liberazione del Paese non fu un fatto immediato e l’aiuto degli Alleati fu fondamentale per liberare l’intero Paese dall’oppressione stranisera. In effetti, le forze nazifasciste si arresero definitivamente solo circa dieci giorni dopo il 25 aprile, e più precisamente il 3 di maggio, come sancito dalla Resa di Caserta che, sebbene fu siglata il 29 aprile, divenne operativa solo a partire dai primi giorni del mese successivo.
La festa della Liberazione d’Italia non è la festa della Repubblica, che invece cade il 2 di giugno. La sua importanza, tuttavia, non è da meno. Ogni anno, il Presidente della Repubblica fa omaggio alle tappe principali che ricordano la liberazione del nostro Paese dalle forze fasciste. Queste prevedono, nella città di Roma, la visita all’Altare della Patria in Piazza Venezia e l’omaggoi al monumento del Milite Ignoto. Poi ancora manifestazioni e sfilate in tutta la Capitale.
Grandi festeggiamenti si tengono anche a Torino e a Milano, città che furono protagoniste proprio in quel lontano 25 aprile del 1945. Altri centri dove questa festività è particolarmente sentita sono le città decorate al valor militare, fra cui Bologna, Domodossola, Firenze, Gorizia e Imola, Piacenza, Parma ma anche Zara, oggi facente parte della Dalmazia Croata.
In tutto il territorio italiano, molte sono le iniziative per festeggiare il 25 aprile, siano esse civili o religiose. Durante questo giorno, si ricordano i partigiani e più in generale tutte le persone che persero la loro vita per liberare l’Italia dalle forze nazifasciste di Hitler e Mussolini.
I principali festeggiamenti includono concerti e musica, come ad esempio a Torino in piazza Castello, o cortei e manifestazioni come a Roma e Milano. Mentre a Roma è il Presidente della Repubblica a rendere omaggio al monumento del Milite Ignoto, a Milano è il sindaco a deporre una corona di fiori per ricordare i caduti per la libertà. Questa prassi è comune a tutte le città e i comuni d’Italia.
Durante le manifestazioni, non è raro che prendano parte ai festeggiamenti gli ultimi partigiani del nostro Paese. Si tratta di persone ormai molto in là con gli anni che hanno vissuto in prima persona i drammi della Seconda Guerra Mondiale. Anche il corpo degli Alpini commemora questa festività, in ricordo dei giorni della Resistenza.
Domenica delle Palme

La Domenica delle Palme è una ricorrenza cristiana, osservata dai cattolici, dagli ortodossi e dai protestanti. Essa viene festeggiata la domenica antecedente alla Domenica di Pasqua e, chiaramente, è un giorno festivo, cadendo di domenica che — in Italia — è sempre un giorno di riposo retribuito.
Con la Domenica delle Palme ha inizio la Settimana Santa, tuttavia, molti pensano che essa ponga anche fine alla Quaresima. In realtà non è così, in quanto la Quaresima termina il giovedì santo, ovvero il giovedì antecedente la Domenica di Pasqua.
Durante la Domenica delle Palme si ricorda l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, avvenuto a cavallo di un asino, mentre la folla ne osannava il nome e agitava rametti di palma e di ulivo in suo saluto.
Proprio in onore a questa tradizione, la messa della Domenica delle Palme ha inizio all’esterno della chiesa dove verrà recitata la liturgia e dove la folla è radunata in attesa del sacerdote che, quel giorno, benedirà i rami di ulivo e di palma, prima di dare inizio alla processione che conduce in chiesa.
Anche il rito della liturgia è peculiare: si celebra la messa leggendo tre passi della «Passione di Gesù» e il sacerdote, al contrario di tutte le altre domeniche di quaresima, può indossare i paramenti di colore rosso.
Terminata la messa, i fedeli tornano a casa con le loro foglie di palma e i rametti d’ulivo benedetti, che rimarranno dentro casa un anno intero in attesa della nuova Domenica delle Palme, dell’anno a venire. In alcune zone della nostra penisola è tradizione intrecciare le palme per farne dei piccoli ornamenti dalle forme varie, come quella del cammello, che poi vengono scambiati o donati ai bambini in segno di pace. Non è raro che i bambini possano intrecciare le palme benedette e poi venderle, per offrire il ricavato in dono ai più poveri. Nel qual caso, di solito questa pratica avviene nel sagrado della chiesa o nei suoi pressi.
La prassi di benedire i rametti di ulivo e le foglie delle palme è storicamente consolidata durante i secoli. Si hanno sue notizie certe già dal lontano VII secolo d.C., sebbene tracce più antiche possano essere fatte risalire al IV secolo d.C., durante il quale i fedeli erano soliti omaggiare tale data nella città di Gerusalemme. Tale prassi fu poi introdotta nella liturgia Siriana e in quella Egiziana, e non è da escludere che proprio dalla Siria e dall’Egitto sia stata portata in Europa.
Tutte queste usanze tipiche dell’Oriente avevano un forte impatto emotivo e toni spesso drammatici. Dall’Oriente, è verosimile che siano passate in Spagna e quindi in Gallia: lo testimonia il fatto che l’usanza di benedire le palme fu mantenuta. Essendo questo particolare proprio di origine orientale, con radici ben note a Gerusalemme, è da escludere che la Festa della Domenica delle Palme abbia avuto origini proprie in Europa, mentre è più corretto immaginare che tale rito e la processione in omaggio a Gesù trovino origine proprio a Gerusalemme. Ed è per questo motivo che i critici di storia e religione datano così indietro l’origine di festeggiare la Domenica delle Palme.
Andando avanti nel tempo, si ha notizia della sua celebrazione in Gallia, nel VII secolo d.C. e poi ancora nell’VIII secolo, quando compare per la prima volta il nome di «Die dominica in palmas«, nel Sacramentario Gregoriano: Domenica delle Palme, appunto.
A Roma, la troviamo introdotta per la prima volta nell’XI secolo, dove aveva già il carattere di processione, in memoria del giorno in cui Gesù entrò a Gerusalemme, osannato ed acclamato dalla folla di fedeli.
In Italia, la Domenica delle Palme è una ricorrenza molto sentita e sono in molti i credenti a partecipare alla liturgia di questo giorno così importante durante l’anno cristiano. Sembra che l’usanza di benedire i rami di ulivo sia particolarmente diffusa nel nostro paese, soprattutto vista la scarsità di piante di palma nei territori del centro e del nord Italia.
Durante la Domenica delle Palme, il Santo Padre tiene un’omelia da San Pietro, con cui si rivolge ai fedeli lì riuniti benedicendoli e donando messaggi di speranza.
Anniversario dell’Unità d’Italia

L’Anniversario dell’Unità d’Italia è anche conosciuto con il nome di «Giornata della Costituzione dell’Inno e della Bandiera«. Si tratta di una ricorrenza civile del nostro Paese, che commemora la nascita del Regno d’Italia, avvenuta il 17 marzo del 1861, quando la Camera dei deputati dell’allora Regno di Sardegna approvò il progetto di legge del Senato che dava a Vittorio Emanuele II il titolo di re del Regno d’Italia, appunto.
Da allora, in memoria di quegli eventi, il 17 marzo di ogni anno si ricorda tale ricorrenza.
L’Anniversario dell’Unità d’Italia non è un giorno festivo, ovvero indicato in rosso nel calendario. Salvo cada di domenica, i lavoratori sono tenuti a lavorare come durante qualsiasi altro giorno feriale. Infatti, questa ricorrenza ha natura soprattutto civile.
L’Anniversario dell’Unità d’Italia è stato festeggiato in maniera solenne ogni 50 anni, dalla sua data originale. Ovvero negli anni 1911, 1961 e 2011.
- Il 50° anniversario dell’Unità d’Italia si festeggiò a cavallo dei mesi di marzo e di aprile 1911. Nelle città di Roma, Firenze e Torino vennero allestite delle mostre a tema e a Torino si tenne l’Esposizione internazione dell’Industria e del Lavoro. Erano anni di grande fervore e lo dimostra anche l’inaugurazione del «Vittoriano» nella capitale. Tra le altre iniziative, ricordiamo la pubblicazione di una serie di francobolli commemorativi, nota con il nome di «Cinquantenario dell’Unità d’Italia«, di grande prestigio e valore fra i collezionisti.
- Il 100° anniversario dell’Unità d’Italia si tenne nel 1961. Ebbe un profilo decisamente più basso e la città maggiormente coinvolta fu Torino, dove si tennero tre rassegne organizzate espressamente per l’occasione: la «Mostra Storica dell’Unità d’Italia«, la «Mostra delle Regioni Italiane» e l’»Esposizione Internazionale del Lavoro«.
- Il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, svolto in forma solenne come vuole la tradizione, è tornato ai fasti della prima edizione, tanto che quell’anno fu proclamata festa nazionale e le attività delle scuole, degli uffici e in genere le attività lavorative vennero sospese. I luoghi protagonisti del 150° anniversario sono stati scelti per il loro legame con la storia dell’Unità d’Italia e Torino è stata la grande protagonista, seguita da Milano, Napoli, Genova, Firenze e ovviamente la capitale Roma. Coinvolte anche Venezia, Palermo e Bologna. Le celebrazioni sono iniziate un anno prima, e più precisamente il 5 maggio 2010 a Quarto dei Mille, per ricordare la spedizione capitanata da Garibaldi che proprio da Quarto partì per risalire poi lungo la penisola oppressa dal nemico.
Tra le altre iniziative dell’anniversario si ricorda un nuovo 2 euro commemorativo, coniato dalla Banca d’Italia, raffigurante il logo ufficiale della manifestazione: tre bandiere, ciascuna rappresentante i 3 anniversari tenutisi fino ad oggi.
Un’altra interessante iniziativa fu l’istituzione della «Coppa del 150º anniversario dell’Unità d’Italia«, un trofeo onorofico realizzato in soli tre esemplari e consegnato al ciclista primo classificato nel Giro d’Italia 2011, alla squadra vincitrice della Coppia Italia 2010-2011 e al pilota che vinse il Gran Premio d’Italia 2011, ovvero: Michele Scarponi, FC Internazionale Milano (Inter) e Sebastian Vettel.
Nel 2012, con la legge nr. 222 del 23 novembre 2012, è stata approvata una nuova giornata di festa, chiamata appunto «Giornata nazionale dell’Unità, della Costituzione, dell’inno e della bandiera«, con cadenza annuuale. Il 17 marzo rimane un giorno lavorativo, ma commemora l’importanza dell’identità nazionale ricordando la data in cui nacque ufficialmente il Regno d’Italia.
Festa del Tricolore

La Festa del Tricolore è anche conosciuta, in maniera ufficiale, come «Giornata Nazionale della Bandiera», ed è una festività italiana durante la quale si rende omaggio e si celebra il tricolore e la sua importanza per tutta la nazione.
Questa ricorrenza cade ogni anno agli inizi di gennaio, e più precisamente il 7 gennaio, data che ricorda la nascita del tricolore, così come ufficializzato a Reggio Emilia il 7 gennaio 1797. La ricorrenza, invece, è stata istituita in tempi ben più recenti, per la precisione, nel dicembre del 1996.
Le origini della bandiera italiana così come la conosciamo oggi sono piuttosto recenti. Essa è, così come i colori ci lasciano intuire, liberamente ispirata a quella francese, nella quale il verde non è presente. Al suo posto troviamo invece il blu scuro.
La bandiera transalpina nacque durante la Rivoluzione Francese: i suoi tre colori rappresentano la monarchia e i colori della città di Parigi. Anni dopo la rivoluzione, la bandiera francese arrivò in Italia al seguito di Napoleone, durante la sua «campagna italica». Il blu, in Italia, venne sostituito dal verde, che era il colore delle divise della Guardia Civica Milanese.
In seguito, la bandiera italiana divenne il simbolo più importante della Restaurazione, in quanto richiamava la sovranità del popolo e la libertà della nazione. Al tempo stesso, non era più un emblema legato ad una famiglia reale o ad una dinastia, per cui fu uno dei simboli più diffusi e genuini dell’Unità d’Italia.
Il colore azzurro non è presente nella bandiera, sebbene sia spesso associato all’Italia, soprattutto in ambito sportivo. I nostri giocatori di calcio, ad esempio, sono conosciuti con il soprannome di «azzurri», ma tale colore non è presente nella bandiera italiana. Da dove arriva, dunque?
In origine, il colore azzurro era il colore distintivo della famiglia reale dei Savoia e, durante i primi anni dopo l’Unità d’Italia e fino alla proclamazione della Repubblica Italiana, tale colore fu associato al Regno d’Italia. In seguito, quando la famiglia Savoia venne esiliata a seguito della proclamazione della Repubblica, il colore azzurro sparì ufficialmente dalla Costituzione, per rimanere presente solo nell’affetto del popolo e come valore collettivo. Tuttoggi, la Costituzione Italiana dispone che i colori della bandiera italiana siano tre: bianco, rosso e verde, disposti a bande verticali larghe, di uguali dimensioni.
La festa del tricolore o della bandiera italiana è una ricorrenza civile ricca di fascino. Le festività si svolgono in forma solenne e avvengono presso il Palazzo del Quirinale, che ha sede nella capitale — Roma. I protagonisti della cerimonia sono i Corazzieri, che svolgono il Cambio della Guardia in forma solenne, ovvero inossando le alte uniformi, o uniformi di gala. Si tratta dello stesso rito che si ripete anche il 2 giugno, ovvero durante la festa della Repubblica. A presenziare, ci sono le maggiori cariche politiche dello Stato, fra cui il Presidente della Repubblica in carica.